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Le 5 missioni del marketer moderno

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In soli tre anni, il gioco è cambiato radicalmente per i team di marketing. Il digitale non è decisamente più percepito come un’isola remota, mentre la padronanza dei diversi canali e soluzioni richiede competenze sempre più specializzate.

Anche le percezioni delle big four o GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon) sono cambiate. Per quanto riguarda l’opinione pubblica in generale vi è diffidenza, mentre gli inserzionisti oscillano tra attrazione, risentimento e… pragmatismo. È in questo contesto che sono necessarie nuove ricerche per modernizzare il modern marketer.

#1 Ritorno al controllo del proprio pubblico

Rifocalizzarsi sui dati di prima parte per ricreare una connessione diretta con il pubblico. Questa è una priorità che, dal 2018, è chiaramente emersa nelle parole dei direttori marketing e indica un’unica intenzione: diventare nuovamente padroni del proprio pubblico.

Alla base di questa preoccupazione vi è la consapevolezza, a seguito degli audit post GDPR, della debolezza dei dati relativi alla conoscenza dei propri clienti, anche potenziali. A questo si aggiunge la revisione algoritmica dei social network (e di Facebook in primo luogo) che, dall’inizio del 2018, ha portato i brand a capire che questi non erano altro che locatari del pubblico su questi spazi.

Questi “inventari di dati” hanno spesso portato alla stessa osservazione: tra dati mal acquisiti (il che può portare ad una riduzione di 2 o 3 volte dei database di posta elettronica utilizzabili al momento del GDPR) e la dipendenza dal duopolio Google e Facebook per un retargeting del pubblico, il margine di manovra per migliorare la conoscenza del cliente sembra molto limitato…Troppo, in un momento in cui le marche cercano di collocare il customer journey (il percorso del consumatore) in un contesto di omnicanalità.

Questo spiega senza dubbio perché sempre più marchi stanno riequilibrando gli investimenti a favore del proprio sito web, delle proprie piattaforme di contenuti o riscoprendo i vantaggi del referenziamento naturale. Questo rifocalizzarsi sulle cosiddette intersezioni “owned” è chiaramente parte di un processo di riappropriazione del pubblico.

#2 Pensare e agire in modo omnicanale

Sul fronte dell’omnicanale, scissioni come l’opposizione B2C contro B2B tendono a svanire. E per una buona ragione: oggi, anche il grande pubblico ha una gestione parecchio… professionale dell’omnicanale. Con grandi aspettative: secondo lo studio di LSA/HiPay, il 71% dei consumatori vuole godere degli stessi vantaggi online e in negozio, il 56% vuole poter prenotare un prodotto online e ritirarlo in negozio e il 53% restituire in negozio un prodotto acquistato online. E non si tratta di un fenomeno generazionale: negli Stati Uniti, anche gli ultimi studi sui millennial confermano il posto del mix online/offline nel processo di acquisto.

Questo mix è particolarmente importante, in quanto nessun sistema può pretendere oggi di fornire una risposta decisiva. Considerate singolarmente, le prestazioni dell’emailing (26% di tasso di apertura e percentuale di clic del 4%) o dei banner (tra lo 0,04 e lo 0,08%) non suscitano un entusiasmo eccessivo. D’altra parte, sequenziate in uno scenario collaudato, ottimizzato ed omnicanale, queste diverse leve possono essere utilizzate in modo complementare per ottenere un ROI tangibile.

Non a caso, il customer journey è ben lungi dall’essere lineare e uniforme da un’attività all’altra e da un cliente all’altro. Per tracciare questo percorso, seguirlo e supportarlo, è essenziale una buona conoscenza del cliente. In questo panorama, i dati rappresentano il primo degli asset. Ciò che permette di visualizzare i principali punti di contatto e, ancora meglio, il loro rispettivo peso nel viaggio. È anche questo asset che apre la strada ad una customer experience omnicanale e personalizzata, dalle visite in negozio all’interazione online e alla conversazione con un call center.

#3 Personalizzare l’esperienza

Nella pratica, questa nozione di percorso può essere fuorviante: suggerisce che il cliente stia ancora seguendo un percorso lineare disegnato dal marchio. Ma più che un percorso predefinito, ciò che conta ormai è la capacità di personalizzare l’esperienza durante ogni interazione. Secondo lo studio “I campioni della Customer Experience” condotto da KPMG durante 8 anni e pubblicato nel 2018, la personalizzazione emerge come il primo pilastro (tra 6) per coltivare la fedeltà. Più in generale, l’esperienza cliente, che a volte inizia con la semplice visualizzazione di un banner, è fondamentale sia per l’acquisizione che per il CLV (Customer Lifetime Value).

Questa personalizzazione può essere percepita in modo difensivo e offensivo. Difensivo: per evitare spiacevoli retargeting – per esempio, per offrire a un cliente che paga un abbonamento di 40 euro un’offerta promozionale di 20 euro per i potenziali clienti. In modo offensivo: aumentare il CLV con offerte che corrispondono a momenti decisivi della vita – la sottoscrizione di una polizza di assicurazione sulla casa durante la stesura di un progetto immobiliare.

In altre parole, la personalizzazione mira a minimizzare la pressione pubblicitaria (soprattutto messaggi inappropriati), per contestualizzare al meglio tutte le interazioni con i potenziali clienti. In ogni caso, rimane difficile da implementare: perché sono stati installati degli adblock, perché il GDPR impone nuove regole del gioco, perché i browser stessi stanno limitando sempre più il campo di applicazione dei cookies… Per un marchio, è essenziale avere il giusto punto di vista su questa realtà necessariamente frammentata. E questa ambizione richiede ormai il coordinamento di un gran numero di competenze per garantire, alla fine, la pertinenza di un messaggio, che è fondamentale per la prestazione.

#4 Mantenere una visione globale nonostante l’aumento delle specializzazioni

Esperti di display advertising, SEA, SEO, Social Paid, marketing automation, content marketing, tag management, analytics… Per eseguire correttamente tutti gli aspetti di una strategia di marketing, è necessario riunire un numero crescente di competenze. La sfida è mantenere una visione e una coerenza globali. Il che non è facile…

Per raggiungere questo obiettivo, è necessario pensare all’organizzazione per evitare, o almeno limitare, i soliti divari: owned versus paid, acquisizione contro fidelizzazione, digitale contro il resto del mondo… Questo sforzo è difficile da gestire senza integrare, insieme agli specialisti, dei profili in grado di padroneggiare gli elementi del linguaggio di ogni disciplina per far sì che le sfide e i vincoli di ognuno siano condivisi al servizio degli obiettivi strategici. Delle competenze del lavoro a metà strada e diverse competenze tecniche. Dall’acquisizione alla fidelizzazione, il marketing moderno richiede questo sforzo di trasversalità e ibridazione delle competenze.

#5 Migliorare l’organizzazione di tutte le soluzioni Martech

Nel corso degli anni, lo stack martech – l’impilamento di soluzioni tecnologiche al servizio delle esigenze di marketing – ha assunto un aspetto sempre più stratificato. Nell’aprile 2019, il panorama Martech aveva più di 7000 soluzioni in categorie diverse come la pubblicità sociale, l’email marketing, il testing, il dashboarding… La pressione delle circostanze per personalizzare le relazioni con i clienti in tempo reale ha naturalmente contribuito ad espandere questa stratificazione. E questo con due problematiche.

In primo luogo, molte organizzazioni hanno perso il “filo conduttore”. Occorre comprendere che i dati sono così frammentati tra le soluzioni che a volte può essere difficile sapere dove si trovano. La produzione di KPI elementari in questi contesti porta a pesanti progetti di integrazione dei dati. Mentre, a fronte di questa complessità, alcuni silos possono essere stati rotti nei team di marketing interni, a volte sono stati ricreati esternamente, suddividendo gli attributi dei dati dei clienti in una soluzione UX, altri in uno strumento di test, ecc.

In secondo luogo, la complessità di questo stack tecnologico è tale da pesare sulla produttività dei team di marketing. Non sorprende quindi che il marketing agile stia diventando un soggetto a sé stante e che le persone stiano cercando una soluzione che possa assumere il ruolo di direttore d’orchestra per armonizzare tutte le azioni.

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